sabato 24 gennaio 2015

Lavoro minorile nella prima rivoluzione industriale

. I  bambini entravano dai cancelli alle cinque del mattino e ne uscivano verso le otto di sera, compreso il sabato. I pasti venivano consumati in brevi soste: mezz’ora per la prima colazione, un’ora per il pranzo.
Ogni mancanza o ritardo veniva punita con feroci battiture.

 Il lavoro dei bambini-operai era reso ancor più duro dalle condizioni in cui si svolgeva. Capannoni dai soffitti bassi, dalle finestre strette e quasi sempre chiuse: la temperatura dei locali oscillava tra i 26 e i 30 gradi. Frequenti erano anche gli infortuni, come l’asportazione di una falange del dito, a volte di un dito intero, o anche di tutta la mano, stritolati dagli ingranaggi delle macchine. Infatti, il fermo produzione era impensabile, e tutte le operazioni venivano svolte con i telai costantemente in movimento.


Giovani donne e bambini dai sei anni in su erano molto utilizzati perché venivano pagati di meno rispetto agli uomini .  Nel settore tessile per esempio percepivano da un terzo a un sesto del salario di un lavoratore maschio adulto. Tuttavia , donne e bambini non venivano utilizzati solo per questo motivo , o perché erano più disciplinati degli uomini. In alcuni settori fornivano migliori prestazioni : nella filatura , per esempio, avevano dita più fini capaci di manipolare la fibra con maggiori agilità e velocità; i bambini erano inoltre estremamente veloci nell’infilarsi sotto i macchinari per recuperare il cotone disperso durante la lavorazione .


Le miniere erano anche peggio delle fabbriche.





Qui i bambini, per lo stesso motivo che li rendeva ideali come spazzacamini (un’altra loro diffusa  “occupazione” all’epoca), venivano usati per portare il materiale estratto dal fondo della miniera in superficie, attraverso stretti cunicoli.



La presenza di bambini -operai  nelle fabbriche e nelle miniere  fu una costante del processo di industrializzazione, con effetti disastrosi per la società sul lungo periodo: individui disfatti sul piano fisico (malformazioni, malattie professionali, sviluppo stentato) e sul piano morale (mancata istruzione, lontananza dalla famiglia).

venerdì 23 gennaio 2015

Conseguenze rivoluzione industriale




La rivoluzione industriale provocò profondi mutamenti nella composizione e nella organizzazione della società.  La vecchia società agricola e feudale era caratterizzata dal rapporto tra le classi sociali dei proprietari terrieri e dei contadini ;con industrializzazione a essa si sostituì il rapporto tra borghesia e proletariato . Alla metà del 700 , in Inghilterra il termine “borghesia” comprendeva figure sociali molto diverse : banchieri, imprenditori industriali, intellettuali , grandi e piccoli commercianti, impiegati,e fittavoli agricoli. Ma protagonista assoluta del processo di industrializzazione che investì l’Inghilterra nella seconda metà del 700 fu la borghesia capitalistica composta da imprenditori che disponevano del capitale necessario per acquistare mezzi di produzione( macchinari, terreni, fabbriche) e investire in attività produttive . Mentre si affermava l'importanza della classe borghese e gli imprenditori aumentavano i loro capitali nasceva il proletariato , una  nuova classe sociale formata da coloro che possedevano solamente le braccia per lavorare e una prole ( cioè dei figli ) da sfamare e accudire. Caratteristica del la figura del proletario era quella di percepire un salario come remunerazione del lavoro fornito : il proletario agricolo lavorava come salariato o bracciante nelle campagne , quello industriale come operaio nelle fabbriche. La condizione del proletariato industriale era molto dura . Nelle fabbriche gli orari di lavoro erano massacranti. Gli operai lavoravano in condizioni pessime , con turni che andavano dall’alba al tramonto . Un operaio dunque compiva meccanicamente lo stesso lavoro per 12/ 16 ore al giorno, in pessime condizioni igieniche e con un salario appena sufficiente per vivere. Questi lavoratori erano dei veri e propri "schiavi", imprigionati in afose fabbriche alte otto piani fino a sera, senza un attimo di riposo salvo i tre quarti d'ora del pasto. Compagna di vita di ogni operaio era l’insicurezza: non essendo prevista nessuna forma di indennità o di assicurazione sociale , chi i infortunava o chi si ammalava rischiava veramente di morire di fame . Quando veniva raggiunta l’età in cui si veniva considerati poco redditizi per il processo industriale chi non poteva godere della solidarietà della famiglia era costretto a vivere di espedienti , affidandosi alla pubblica carità.

La rivoluzione industriale

La seconda metà del Settecento conobbe anche l’inizio di un processo di profonda trasformazione delle attività produttive , che avrebbe portato al superamento di un mondo dipendente quasi solo dall’agricoltura . In Inghilterra infatti verso il 1760 si sviluppo la cosiddetta “rivoluzione industriale”. La parola “rivoluzione “ sottolinea che l’industrializzazione provocò un cambiamento radicale , anzitutto a livello economico-produttivo , ma anche in altri ambiti e settori.  Cambiarono i rapporti tra le classi, cambiarono i rapporti tra mondo rurale e mondo urbano , cambiarono infine tanti aspetti della vita quotidiana e della mentalità.
La rivoluzione industriale inglese fu un processo che si dispiegò nell’arco di diversi decenni , un tempo comunque molto breve , se paragonato alla lentezza delle trasformazioni nel sistema produttivo avvenute in Europa nei secoli precedenti: anche da questo punto di vista , dunque , una “rivoluzione”.  La rivoluzione industriale iniziò in Inghilterra e lentamente si propagò sul continente, e , più lentamente ancora , nell’America del Nord.
Perché è nata in Inghilterra?
Indubbiamente perché in quel paese le rivoluzioni demografica e agricola facevano più decisamente sentire le loro conseguenze. Lo sviluppo dei campi chiusi, la sostituzione progressiva dell’allevamento all’agricoltura, congiunti ad un incremento rapido della popolazione ,  gettano sul mercato del lavoro , una massa enorme di disoccupati .
 Certo alcuni emigrarono in America e dal 1800 in Australia , ma la maggior parte è in grado di fornire mano d’opera a buon mercato all’industria sorgente . Ma altre ragioni spiegano pure come la Gran Bretagna abbia visto nascere la rivoluzione industriale . La ricchezza del sottosuolo in miniere e specialmente in carbone, la vecchia installazione di un’industria tessile prospera, soprattutto in ciò che concerne la fabbricazione di drappi di lana ; l’abitudine di esportare oltremare , e soprattutto  l’abbondanza di capitali dovuti al traffico del commercio marittimo e all’intraprendenza bisecolare delle banche ; l’esistenza infine di una borghesia ricca e di una nobiltà largamente orientata non solo verso l’agricoltura , ma anche verso l’industria e il commercio.
Verso la metà del Settecento tra gli scienziati e gli ingegneri inglesi si era manifestato un notevole interesse per vapore e le sue possibili applicazioni. Il progresso decisivo fu compiuto nel 1769 da James Watt che brevettò una macchina a vapore in grado di pompare fuori l’acqua dai pozzi




La grande svolta però avvenne nel 1781 quando Watt brevettò  una macchina che utilizzava il vapore come forza motrice.

lunedì 19 gennaio 2015

Raccontare ..la storia . Episodio 1 : Il Settecento.

Produzione agricola nel XVIII secolo




La produzione agricola aumentò grazie al miglioramento della resa.  A questo riguardo , grandi progressi furono compiuti in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi con la selezione dei cereali , il miglioramento dei concimi e degli ingrassi ( impiego di cenere , o della “calcinatura” delle terre silicee) e il perfezionamento degli attrezzi agricoli. Gli Inglesi , preoccupati di migliorare l’aratro al fine di ottenere solchi più profondi , costruirono aratri a orecchia e aratri a più vomeri.  Si diffonde la falce lunga più efficace del falcetto, i nuovi tipi di seminatrici ed erpici.



 Tuttavia ciò che caratterizza essenzialmente la rivoluzione agricola nel secolo XVIII è la coltura di nuove piante . La zucca, il pomodoro e il fagiolo sono legumi che si coltivano negli orti fin dal sec. XVI . Essi variarono l’alimentazione , il fagiolo specialmente si sostituì alla fava , o fu utilizzato insieme con essa . Se tuttavia queste piante migliorarono l’alimentazione, non erano sufficienti a determinare in questo campo una rivoluzione.  Non si può dire lo stesso del granturco e della patata .
 Il primo trasportato dall’America nella penisola iberica al principio del secolo XVI , era allora , nella sua terra d’origine , la base dell’agricoltura india, a partire da sud dei Grandi Laghi fino alle regioni montagnose dell’attuale Argentina. Il granturco si estese dapprima nelle regioni mediterranee e alla fine del sec. XVI era coltivato nelle pianure del Po , del Danubio e in Francia.
Il suo successo è dovuto al suo notevole rendimento. Mentre il grano presentava, una resa da 3 a 5 per uno, il rendimento del granturco era in media da 30 a 50 per uno. Inoltre, essendo, una piantagione nuova , per la maggior parte di quel tempo non era soggetta a decima, né apprezzata dai proprietari nobili e borghesi , che per tradizione esigevano grano dai loro fittavoli e mezzadri , per cui veniva abbandonato ai contadini. I quali poterono quindi farne abbondante consumo con poca spesa , sia sotto forma di farinata sia indirettamente utilizzando il granturco per ingrassare il bestiame . E’ fuori dubbio che l’estensione della coltura del gran turco migliorò notevolmente l’alimentazione degli uomini e rinforzò la loro resistenza alle malattie e alla morte.La coltivazione della patata ha avuto , nelle altre regioni , analoga importanza. La patata era coltivata sugli altipiani delle Ande  al tempo dell’arrivo degli Spagnoli. All’inizio del sec XVI fu introdotta in Spagna per poi passare in Gran Bretagna e in Italia. Di qui giunse nelle pianure danubiane , nella Polonia e in Germania  e in Francia.Questo vegetale aveva il vantaggio di crescere facilmente  in zolle povere ed essere insensibile alle  intemperie che affliggono la produzione del grano. E’ stata chiamata a ragione il “pane del povero”.              

giovedì 15 gennaio 2015

La ripresa economica dell'Italia

Durante il Settecento anche in Italia si verificò una ripresa economica, favorita dalla crisi dell'egemonia spagnola sulla penisola e dall'influenza positiva dell'Austria, che controllava l'Italia settentrionale. Dopo più di un secolo di crisi dei commerci mediterranei, l'Italia era diventata un paese prevalentemente agricolo. Nel Settecento si ebbe un aumento della produzione agricola in seguito alla crescita della popolazione, ma anche per l'incremento delle esportazioni verso i paesi più ricchi d'Europa, di alcuni prodotti italiani, come vino, olio e soprattutto seta greggia lavorata in Piemonte, Lombardia e Calabria. L'aumento della produzione agricola fu favorito dalla bonifica di territori paludosi in alcune regioni italiane, come la Toscana, ma anche dalla distruzione di boschi collinari e montani e dalla riduzione di terre comuni e pascoli collettivi, che aggravarono l'instabilità idrogeologica del nostro territorio e le condizioni di vita delle masse contadine.

La rivoluzione agricola nel 1700


Proprietà agricola e rivolte contadine


In tutta Europa sopravvivevano i vincoli feudali che coinvolgevano praticamente l’intera popolazione contadina, la quale era legata al signore a cui doveva prestazioni economiche (concordate in tempi molto precedenti) regolari e straordinarie (in caso di cessione o eredità da parte del contadino della propria terra), si trattava di fatto di uno stato di semi proprietà della terra, nella quale il contadino a causa dei canoni da pagare al signore non godeva dell’effettiva proprietà degli appezzamenti di cui usufruiva. D’altro canto anche il signore era tenuto nei confronti del contadino a garantirgli una serie di diritti, fra cui lo sfruttamento delle sue terre incolte per ricavarne materie prime, facendo si che si manifestassero due tendenze in opposizione fra loro; il contadino cercava di limitare quanto più possibile l’espansione dei diritti signorili per impedire di ripiombare nella condizione di servaggio (ancora presente in alcune regioni francesi e tedesche), mentre il signore nel tentativo di mantenere le sue rendite cercava di legare al lavoro della terra quanti più contadini possibili.

La condizione qui espressa, quella del contadino libero che paga un canone al signore, era tipica delle regioni dell’antico feudalesimo europeo ( Francia e Germania) mentre nelle regioni orientali del continente i diritti di servitù conservavano caratteri ben più aspri.
In Polonia, Germania orientale, nell’impero austriaco e in Russia infatti i diritti dei contadini erano estremamente limitati, persino il matrimonio doveva avere l’approvazione del signore, così come la volontà di spostarsi. L’Europa orientale infatti divenne ben presto teatro di moltissime rivolte contadine ( Boemia 1775 o quella di Pugacev in Russia fra il 1773 e il 1775) che divennero la manifestazione palese della non accettazione dello stato di servi, in cui vivevano da generazione i contadini dell’est europeo.



I cambiamenti dell’agricoltura e le “enclosures”




Il paesaggio agricolo dell’Inghilterra settecentesca si trovò completamente modificato rispetto a quello dei secoli precedenti, ciò era dovuto all’emergere di un nuovo modo di coltivare la terra e di gestirne la proprietà: si trattava delle “enclosures” o meglio delle recinzioni delle terre. Il modello agricolo di base, che copriva la gran parte delle proprietà europee, era costituito da una serie di terreni contigui fra loro e posti sotto la giurisdizione di un villaggio; i proprietari dei singoli campi erano anche possessori del raccolto che ne ricavavano, tuttavia fornivano una serie di diritti alla comunità, come quello di pascolare gli animali, quando il campo non era messo a raccolta. Mentre le terre boschive o incolte erano aperte a tutti indipendentemente dall’utilizzo che ne si faceva. Questo modello cominciò a essere rimpiazzato dalle recinzioni nel corso del ‘500 per poi divenire una rarità nel XVIII secolo, quando ormai le enclosures costituivano l’84% della superficie coltivata in Inghilterra e Galles. Il nuovo modo di fare agricoltura era costituito dalla rivendicazione, da parte del proprietario, della completa autonomia del proprio sistema agricolo dalle esigenze della comunità rurale, a questo si aggiungeva la privatizzazione delle terre comuni. Il sistema aveva il lato positivo di spingere l’agricoltore a soddisfare non più le esigenze dell’autoconsumo ma quelle del mercato, divenendo di fatto un imprenditore. Il fenomeno tuttavia a causa della concorrenza che generava fra i vari proprietari divenne causa del progressivo diminuire dei proprietari/coltivatori i quali divennero sempre meno, trasformando così gran parte degli ex-proprietari in lavoratori agricoli salariati. Altro importante cambiamento che investì le terre che scelsero la recinzione fu quello del passaggio dalla rotazione triennale a quella settennale. Infatti ben presto vennero introdotte nuove coltivazioni (foraggi principalmente) allo scopo di arricchire il terreno, che così poteva sopportare cicli produttivi più lunghi. Cicli produttivi più lunghi consentivano una maggiore disponibilità di cibo per uomini e per animali, così ben presto anche l’allevamento divenne una componente fondamentale delle nuove aziende agricole, giungendo a livelli di produttività mai visti in precedenza. Il sistema delle enclosures era solo uno dei tanti nuovi metodi di fare agricoltura che si affermavano nell’Europa del XVIII secolo, sistemi tuttavia destinati ad avere una diffusione assai limitata a causa del sopravvivere dei vecchi sistemi di origine feudale. Ai nuovi sistemi agricoli ben presto si associò anche la diffusione di nuove piante, queste provenienti dal nuovo mondo diverranno parte integrante della dieta europea. Si tratta sostanzialmente della patata, che in Europa centrale e Irlanda diverrà l’elemento basilare della vita contadina; del granturco o mais, che prenderà piede nelle regioni meridionali del continente europeo rimpiazzando il frumento che divenne sempre più cibo per le classi privilegiate; infine anche se non coltivato a scopo alimentare vi era il tabacco che diverrà estremamente importante grazie alla produzione di beni di consumo che ne era derivata.

                                                                                                                              Stefania Blasi

mercoledì 14 gennaio 2015

La nuova agricoltura europea

La crescita demografica del XVIII secolo fu non solo l'effetto, ma anche la causa della rivoluzione agricola, verificatasi soprattutto in Inghilterra, nei Paesi Bassi e in Francia.Infatti la crescente richiesta di cibo da parte della popolazione faceva salire i prezzi dei prodotti alimentari e spingeva i contadini ad aumentare la produzione agricola attraverso l'espansione dei terreni coltivati e l'introduzione di nuove tecniche. L'ampliamento delle zone coltivate fu realizzato bonificando pianure paludose e abbattendo boschi di collina e di montagna per far posto alle coltivazioni e ai pascoli artificiali.
Ancora più importante per la crescita della produzione agricola fu il passaggio dalla rotazione triennale alla rotazione quadriennale , cioè l'eliminazione del maggese improduttivo e la sua sostituzione con piante foraggere (trifoglio, erba medica), adatte all'alimentazione degli animali allevati. Queste piante, oltre ad arricchire il terreno di sostanze utili alla coltivazione dei cereali, permisero di sviluppare l'allevamento e di dare vita a una moderna agricoltura, nella quale le coltivazioni e l'allevamento erano tra loro strettamente integrati. 















All'interno di queste moderne aziende furono introdotte nuove piante alimentari, come il mais, la patata, la rapa e la barbabietola da zucchero.
La produzione agricola aumentò anche per l'impiego di nuovi e più perfezionati attrezzi da lavoro, quali l'aratro di ferro adatto per arature profonde, la falce lunga più efficace del falcetto, i nuovi tipi di seminatrici ed erpici.

La crescita demografica


La crescita demografica del Settecento (pari al 60% circa) è spesso definita una rivoluzione demografica in quanto con questa espressione non s’intende la sola crescita, quanto il sostanziale mutamento del regime demografico: infatti, i secoli precedenti avevano visto alternarsi periodi di crescita e periodi di diminuzione o stagnazione, mentre la crescita che si rafforzò in questo periodo si rivelò permanente (cioè senza interruzioni da parte di eventi catastrofici). Gli storici sono in pieno accordo sul fatto stesso della crescita, ma questo non si può dire su quali siano le cause di questa rivoluzione. La crescita demografica può essere vista come la conseguenza della riduzione della mortalità, che trova a sua volta una causa nella scomparsa della peste: infatti, dopo l’epidemia del 1665-1668 ad Amsterdam, Londra e Parigi (se si esclude quella che colpì la Provenza e Marsiglia nel 1720) non ci furono più casi gravi di peste in Europa Occidentale. Per spiegare la scomparsa della malattia che per secoli aveva flagellato l’Europa, sono state avanzate quattro ipotesi (e tutte valide):

  •  La peste è soggetta a cicli secolari di maggiore o minore virulenza;
  • I cambiamenti climatici avvenuti nel Settecento (si parla di piccola era glaciale) hanno reso l’ambiente poco adatto alla proliferazione delle pulci portatrici del bacillo;
  • La comparsa di una nuova specie di ratti (rattus norvegicus) ha portato alla scomparsa del ratto nero, portatore della peste;
  • L’utilizzo della quarantena, dei lazzaretti e dei cordoni sanitari ha permesso di bloccare per tempo il diffondersi della malattia;
La peste scomparve intorno al 1670, tuttavia la crescita demografica iniziò soltanto intorno al 1720: infatti,altre malattie affliggevano la popolazione europea, mala maggiore causa di morte di questo periodo fu il vaiolo (10-15% della mortalità totale). Il vaiolo è una malattia infettiva infantile, assai meno letale della peste ma ben più frequente, che uccideva ben un quinto degli ammalati, lasciando i sopravvissutideturpati da numerose cicatrici, ma è nota anche per essere stata la prima malattia sconfitta dal progresso delle pratiche mediche: verso la fine del‘700, infatti, Edward Jenner scoprì che iniettando nell’uomo il vaiolo della vacca (vaccino), questo acquisiva l’immunità alla malattia. La riduzione della mortalità non va ridotta alla lotta contro il vaiolo e alla scomparsa della peste: la maggiore igiene, dovuto alla frequente pulizia col sapone, all’uso di diversi indumenti intimi in cotone, ad un diverso tipo di abitazione con stanze separate e alla raccolta delle immondizie, ha portato alla riduzione della possibilità di contrarre malattie..A ridurre la mortalità contribuisce anche la minore frequenza delle carestie.