venerdì 13 febbraio 2015
martedì 10 febbraio 2015
lunedì 9 febbraio 2015
sabato 24 gennaio 2015
Lavoro minorile nella prima rivoluzione industriale
. I bambini entravano
dai cancelli alle cinque del mattino e ne uscivano verso le otto di sera,
compreso il sabato. I pasti venivano consumati in brevi soste: mezz’ora per la
prima colazione, un’ora per il pranzo.
Ogni mancanza o ritardo veniva punita con feroci battiture.
Il lavoro dei bambini-operai era reso ancor più duro dalle
condizioni in cui si svolgeva. Capannoni dai soffitti bassi, dalle finestre
strette e quasi sempre chiuse: la temperatura dei locali oscillava tra i 26 e i
30 gradi. Frequenti erano anche gli infortuni, come l’asportazione di una
falange del dito, a volte di un dito intero, o anche di tutta la mano,
stritolati dagli ingranaggi delle macchine. Infatti, il fermo produzione era
impensabile, e tutte le operazioni venivano svolte con i telai costantemente in
movimento.
Giovani donne e bambini dai sei anni in su erano molto
utilizzati perché venivano pagati di meno rispetto agli uomini . Nel settore tessile per esempio percepivano
da un terzo a un sesto del salario di un lavoratore maschio adulto. Tuttavia ,
donne e bambini non venivano utilizzati solo per questo motivo , o perché erano
più disciplinati degli uomini. In alcuni settori fornivano migliori prestazioni
: nella filatura , per esempio, avevano dita più fini capaci di manipolare la
fibra con maggiori agilità e velocità; i bambini erano inoltre estremamente
veloci nell’infilarsi sotto i macchinari per recuperare il cotone disperso
durante la lavorazione .
Le miniere erano anche peggio delle fabbriche.
Qui i bambini, per lo stesso motivo
che li rendeva ideali come spazzacamini (un’altra loro diffusa “occupazione” all’epoca), venivano usati per
portare il materiale estratto dal fondo della miniera in superficie, attraverso
stretti cunicoli.
La presenza di bambini -operai nelle fabbriche e nelle miniere fu una costante del processo di
industrializzazione, con effetti disastrosi per la società sul lungo periodo:
individui disfatti sul piano fisico (malformazioni, malattie professionali,
sviluppo stentato) e sul piano morale (mancata istruzione, lontananza dalla
famiglia).
venerdì 23 gennaio 2015
Conseguenze rivoluzione industriale
La rivoluzione industriale provocò profondi mutamenti nella
composizione e nella organizzazione della società. La vecchia società agricola e feudale era
caratterizzata dal rapporto tra le classi sociali dei proprietari terrieri e
dei contadini ;con industrializzazione a essa si sostituì il rapporto tra
borghesia e proletariato . Alla metà del 700 , in Inghilterra il termine
“borghesia” comprendeva figure sociali molto diverse : banchieri, imprenditori
industriali, intellettuali , grandi e piccoli commercianti, impiegati,e
fittavoli agricoli. Ma protagonista assoluta del processo di
industrializzazione che investì l’Inghilterra nella seconda metà del 700 fu la
borghesia capitalistica composta da imprenditori che disponevano del capitale
necessario per acquistare mezzi di produzione( macchinari, terreni, fabbriche)
e investire in attività produttive . Mentre si affermava l'importanza
della classe borghese e gli imprenditori aumentavano i loro capitali nasceva il
proletariato , una nuova classe sociale
formata da coloro che possedevano solamente le braccia per lavorare e una prole
( cioè dei figli ) da sfamare e accudire. Caratteristica del la figura del
proletario era quella di percepire un salario come remunerazione del lavoro
fornito : il proletario agricolo lavorava come salariato o bracciante nelle
campagne , quello industriale come operaio nelle fabbriche. La condizione del
proletariato industriale era molto dura . Nelle fabbriche gli orari di lavoro
erano massacranti. Gli operai lavoravano in condizioni pessime , con turni che
andavano dall’alba al tramonto . Un operaio dunque compiva meccanicamente lo
stesso lavoro per 12/ 16 ore al giorno, in pessime condizioni igieniche e con
un salario appena sufficiente per vivere. Questi lavoratori erano dei veri e
propri "schiavi", imprigionati in afose fabbriche alte otto piani
fino a sera, senza un attimo di riposo salvo i tre quarti d'ora del pasto.
Compagna di vita di ogni operaio era l’insicurezza: non essendo prevista
nessuna forma di indennità o di assicurazione sociale , chi i infortunava o chi
si ammalava rischiava veramente di morire di fame . Quando veniva raggiunta
l’età in cui si veniva considerati poco redditizi per il processo industriale
chi non poteva godere della solidarietà della famiglia era costretto a vivere
di espedienti , affidandosi alla pubblica carità.
La rivoluzione industriale
La seconda metà del Settecento conobbe anche l’inizio di un
processo di profonda trasformazione delle attività produttive , che avrebbe
portato al superamento di un mondo dipendente quasi solo dall’agricoltura . In
Inghilterra infatti verso il 1760 si sviluppo la cosiddetta “rivoluzione
industriale”. La parola “rivoluzione “ sottolinea che l’industrializzazione
provocò un cambiamento radicale , anzitutto a livello economico-produttivo , ma
anche in altri ambiti e settori.
Cambiarono i rapporti tra le classi, cambiarono i rapporti tra mondo
rurale e mondo urbano , cambiarono infine tanti aspetti della vita quotidiana e
della mentalità.
La rivoluzione industriale inglese fu un processo che si
dispiegò nell’arco di diversi decenni , un tempo comunque molto breve , se
paragonato alla lentezza delle trasformazioni nel sistema produttivo avvenute
in Europa nei secoli precedenti: anche da questo punto di vista , dunque , una
“rivoluzione”. La rivoluzione
industriale iniziò in Inghilterra e lentamente si propagò sul continente, e ,
più lentamente ancora , nell’America del Nord.
Perché è nata in Inghilterra?
Indubbiamente perché in quel paese le rivoluzioni demografica
e agricola facevano più decisamente sentire le loro conseguenze. Lo sviluppo
dei campi chiusi, la sostituzione progressiva dell’allevamento all’agricoltura,
congiunti ad un incremento rapido della popolazione , gettano sul mercato del lavoro , una massa
enorme di disoccupati .
Verso la metà del Settecento tra gli scienziati e gli ingegneri inglesi si era manifestato un notevole interesse per vapore e le sue possibili applicazioni. Il progresso decisivo fu compiuto nel 1769 da James Watt che brevettò una macchina a vapore in grado di pompare fuori l’acqua dai pozzi
La grande svolta però avvenne nel 1781 quando Watt
brevettò una macchina che utilizzava il
vapore come forza motrice.
lunedì 19 gennaio 2015
Produzione agricola nel XVIII secolo
La produzione agricola aumentò grazie al miglioramento della resa. A questo riguardo , grandi progressi furono compiuti in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi con la selezione dei cereali , il miglioramento dei concimi e degli ingrassi ( impiego di cenere , o della “calcinatura” delle terre silicee) e il perfezionamento degli attrezzi agricoli. Gli Inglesi , preoccupati di migliorare l’aratro al fine di ottenere solchi più profondi , costruirono aratri a orecchia e aratri a più vomeri. Si diffonde la falce lunga più efficace del falcetto, i nuovi tipi di seminatrici ed erpici.
Tuttavia ciò che caratterizza essenzialmente
la rivoluzione agricola nel secolo XVIII è la coltura di nuove piante . La
zucca, il pomodoro e il fagiolo sono legumi che si coltivano negli orti fin dal
sec. XVI . Essi variarono l’alimentazione , il fagiolo specialmente si sostituì
alla fava , o fu utilizzato insieme con essa . Se tuttavia queste piante
migliorarono l’alimentazione, non erano sufficienti a determinare in questo
campo una rivoluzione. Non si può dire
lo stesso del granturco e della patata .
Il primo trasportato
dall’America nella penisola iberica al principio del secolo XVI , era allora ,
nella sua terra d’origine , la base dell’agricoltura india, a partire da sud
dei Grandi Laghi fino alle regioni montagnose dell’attuale Argentina. Il granturco
si estese dapprima nelle regioni mediterranee e alla fine del sec. XVI era
coltivato nelle pianure del Po , del Danubio e in Francia.
Il suo
successo è dovuto al suo notevole rendimento. Mentre il grano presentava, una
resa da 3 a 5 per uno, il rendimento del granturco era in media da 30 a 50 per
uno. Inoltre, essendo, una piantagione nuova , per la maggior parte di quel
tempo non era soggetta a decima, né apprezzata dai proprietari nobili e
borghesi , che per tradizione esigevano grano dai loro fittavoli e mezzadri ,
per cui veniva abbandonato ai contadini. I quali poterono quindi farne
abbondante consumo con poca spesa , sia sotto forma di farinata sia
indirettamente utilizzando il granturco per ingrassare il bestiame . E’ fuori
dubbio che l’estensione della coltura del gran turco migliorò notevolmente
l’alimentazione degli uomini e rinforzò la loro resistenza alle malattie e alla
morte.La coltivazione della patata ha avuto , nelle altre regioni
, analoga importanza. La patata era coltivata sugli altipiani delle Ande al tempo dell’arrivo degli Spagnoli.
All’inizio del sec XVI fu introdotta in Spagna per poi passare in Gran Bretagna
e in Italia. Di qui giunse nelle pianure danubiane , nella Polonia e in
Germania e in Francia.Questo vegetale aveva il vantaggio di crescere
facilmente in zolle povere ed essere
insensibile alle intemperie che affliggono
la produzione del grano. E’ stata chiamata a ragione il “pane del povero”.
giovedì 15 gennaio 2015
La ripresa economica dell'Italia
Durante il Settecento anche in Italia si verificò una ripresa economica, favorita dalla crisi dell'egemonia spagnola sulla penisola e dall'influenza positiva dell'Austria, che controllava l'Italia settentrionale. Dopo più di un secolo di crisi dei commerci mediterranei, l'Italia era diventata un paese prevalentemente agricolo.
Nel Settecento si ebbe un aumento della produzione agricola in seguito alla crescita della popolazione, ma anche per l'incremento delle esportazioni verso i paesi più ricchi d'Europa, di alcuni prodotti italiani, come vino, olio e soprattutto seta greggia lavorata in Piemonte, Lombardia e Calabria.
L'aumento della produzione agricola fu favorito dalla bonifica di territori paludosi in alcune regioni italiane, come la Toscana, ma anche dalla distruzione di boschi collinari e montani e dalla riduzione di terre comuni e pascoli collettivi, che aggravarono l'instabilità idrogeologica del nostro territorio e le condizioni di vita delle masse contadine.
Proprietà agricola e rivolte contadine
In tutta Europa sopravvivevano i vincoli feudali che
coinvolgevano praticamente l’intera popolazione contadina, la quale era legata
al signore a cui doveva prestazioni economiche (concordate in tempi molto
precedenti) regolari e straordinarie (in caso di cessione o eredità da parte
del contadino della propria terra), si trattava di fatto di uno stato di semi
proprietà della terra, nella quale il contadino a causa dei canoni da pagare al
signore non godeva dell’effettiva proprietà degli appezzamenti di cui
usufruiva. D’altro canto anche il signore era tenuto nei confronti del
contadino a garantirgli una serie di diritti, fra cui lo sfruttamento delle sue
terre incolte per ricavarne materie prime, facendo si che si manifestassero due
tendenze in opposizione fra loro; il contadino cercava di limitare quanto più
possibile l’espansione dei diritti signorili per impedire di ripiombare nella
condizione di servaggio (ancora presente in alcune regioni francesi e
tedesche), mentre il signore nel tentativo di mantenere le sue rendite cercava
di legare al lavoro della terra quanti più contadini possibili.
La condizione qui espressa, quella del contadino libero che
paga un canone al signore, era tipica delle regioni dell’antico feudalesimo
europeo ( Francia e Germania) mentre nelle regioni orientali del continente i
diritti di servitù conservavano caratteri ben più aspri.
In Polonia, Germania orientale, nell’impero austriaco e in
Russia infatti i diritti dei contadini erano estremamente limitati, persino il
matrimonio doveva avere l’approvazione del signore, così come la volontà di
spostarsi. L’Europa orientale infatti divenne ben presto teatro di moltissime
rivolte contadine ( Boemia 1775 o quella di Pugacev in Russia fra il 1773 e il
1775) che divennero la manifestazione palese della non accettazione dello stato
di servi, in cui vivevano da generazione i contadini dell’est europeo.
I cambiamenti dell’agricoltura e le “enclosures”
Il paesaggio agricolo dell’Inghilterra settecentesca si trovò completamente modificato rispetto a quello dei secoli precedenti, ciò era dovuto all’emergere di un nuovo modo di coltivare la terra e di gestirne la proprietà: si trattava delle “enclosures” o meglio delle recinzioni delle terre.
Il modello agricolo di base, che copriva la gran parte delle proprietà europee, era costituito da una serie di terreni contigui fra loro e posti sotto la giurisdizione di un villaggio; i proprietari dei singoli campi erano anche possessori del raccolto che ne ricavavano, tuttavia fornivano una serie di diritti alla comunità, come quello di pascolare gli animali, quando il campo non era messo a raccolta. Mentre le terre boschive o incolte erano aperte a tutti indipendentemente dall’utilizzo che ne si faceva.
Questo modello cominciò a essere rimpiazzato dalle recinzioni nel corso del ‘500 per poi divenire una rarità nel XVIII secolo, quando ormai le enclosures costituivano l’84% della superficie coltivata in Inghilterra e Galles. Il nuovo modo di fare agricoltura era costituito dalla rivendicazione, da parte del proprietario, della completa autonomia del proprio sistema agricolo dalle esigenze della comunità rurale, a questo si aggiungeva la privatizzazione delle terre comuni. Il sistema aveva il lato positivo di spingere l’agricoltore a soddisfare non più le esigenze dell’autoconsumo ma quelle del mercato, divenendo di fatto un imprenditore. Il fenomeno tuttavia a causa della concorrenza che generava fra i vari proprietari divenne causa del progressivo diminuire dei proprietari/coltivatori i quali divennero sempre meno, trasformando così gran parte degli ex-proprietari in lavoratori agricoli salariati.
Altro importante cambiamento che investì le terre che scelsero la recinzione fu quello del passaggio dalla rotazione triennale a quella settennale. Infatti ben presto vennero introdotte nuove coltivazioni (foraggi principalmente) allo scopo di arricchire il terreno, che così poteva sopportare cicli produttivi più lunghi.
Cicli produttivi più lunghi consentivano una maggiore disponibilità di cibo per uomini e per animali, così ben presto anche l’allevamento divenne una componente fondamentale delle nuove aziende agricole, giungendo a livelli di produttività mai visti in precedenza.
Il sistema delle enclosures era solo uno dei tanti nuovi metodi di fare agricoltura che si affermavano nell’Europa del XVIII secolo, sistemi tuttavia destinati ad avere una diffusione assai limitata a causa del sopravvivere dei vecchi sistemi di origine feudale.
Ai nuovi sistemi agricoli ben presto si associò anche la diffusione di nuove piante, queste provenienti dal nuovo mondo diverranno parte integrante della dieta europea. Si tratta sostanzialmente della patata, che in Europa centrale e Irlanda diverrà l’elemento basilare della vita contadina; del granturco o mais, che prenderà piede nelle regioni meridionali del continente europeo rimpiazzando il frumento che divenne sempre più cibo per le classi privilegiate; infine anche se non coltivato a scopo alimentare vi era il tabacco che diverrà estremamente importante grazie alla produzione di beni di consumo che ne era derivata.
Stefania Blasi
Stefania Blasi
mercoledì 14 gennaio 2015
La nuova agricoltura europea
La crescita demografica
del XVIII secolo fu non solo l'effetto, ma anche la causa della rivoluzione
agricola, verificatasi soprattutto in Inghilterra, nei Paesi Bassi e in
Francia.Infatti la crescente richiesta di cibo da parte della popolazione faceva salire
i prezzi dei prodotti alimentari e spingeva i contadini ad aumentare la
produzione agricola attraverso l'espansione dei terreni coltivati e
l'introduzione di nuove tecniche. L'ampliamento delle zone coltivate fu
realizzato bonificando pianure paludose e abbattendo boschi di collina e di
montagna per far posto alle coltivazioni e ai pascoli artificiali.
Ancora più importante per la crescita della produzione agricola fu il passaggio
dalla rotazione triennale alla rotazione quadriennale , cioè l'eliminazione del
maggese improduttivo e la sua sostituzione con piante foraggere (trifoglio,
erba medica), adatte all'alimentazione degli animali allevati. Queste piante,
oltre ad arricchire il terreno di sostanze utili alla coltivazione dei cereali,
permisero di sviluppare l'allevamento e di dare vita a una moderna agricoltura,
nella quale le coltivazioni e l'allevamento erano tra loro strettamente
integrati.
All'interno di queste moderne aziende furono introdotte nuove piante
alimentari, come il mais, la patata, la rapa e la barbabietola da zucchero.
La produzione agricola aumentò anche per l'impiego di nuovi e più perfezionati attrezzi da lavoro, quali l'aratro di ferro adatto per arature profonde, la falce lunga più efficace del falcetto, i nuovi tipi di seminatrici ed erpici.
La produzione agricola aumentò anche per l'impiego di nuovi e più perfezionati attrezzi da lavoro, quali l'aratro di ferro adatto per arature profonde, la falce lunga più efficace del falcetto, i nuovi tipi di seminatrici ed erpici.
La crescita demografica
La crescita demografica del Settecento (pari al 60% circa) è spesso definita una rivoluzione demografica in quanto con questa espressione non s’intende la sola crescita, quanto il sostanziale mutamento del regime demografico: infatti, i secoli precedenti avevano visto alternarsi periodi di crescita e periodi di diminuzione o stagnazione, mentre la crescita che si rafforzò in questo periodo si rivelò permanente (cioè senza interruzioni da parte di eventi catastrofici). Gli storici sono in pieno accordo sul fatto stesso della crescita, ma questo non si può dire su quali siano le cause di questa rivoluzione. La crescita demografica può essere vista come la conseguenza della riduzione della mortalità, che trova a sua volta una causa nella scomparsa della peste: infatti, dopo l’epidemia del 1665-1668 ad Amsterdam, Londra e Parigi (se si esclude quella che colpì la Provenza e Marsiglia nel 1720) non ci furono più casi gravi di peste in Europa Occidentale. Per spiegare la scomparsa della malattia che per secoli aveva flagellato l’Europa, sono state avanzate quattro ipotesi (e tutte valide):
- La peste è soggetta a cicli secolari di maggiore o minore virulenza;
- I cambiamenti climatici avvenuti nel Settecento (si parla di piccola era glaciale) hanno reso l’ambiente poco adatto alla proliferazione delle pulci portatrici del bacillo;
- La comparsa di una nuova specie di ratti (rattus norvegicus) ha portato alla scomparsa del ratto nero, portatore della peste;
- L’utilizzo della quarantena, dei lazzaretti e dei cordoni sanitari ha permesso di bloccare per tempo il diffondersi della malattia;
La peste scomparve intorno al 1670, tuttavia la crescita demografica iniziò soltanto intorno al 1720: infatti,altre malattie affliggevano la popolazione europea, mala maggiore causa di morte di questo periodo fu il vaiolo (10-15% della mortalità totale). Il vaiolo è una malattia infettiva infantile, assai meno letale della peste ma ben più frequente, che uccideva ben un quinto degli ammalati, lasciando i sopravvissutideturpati da numerose cicatrici, ma è nota anche per essere stata la prima malattia sconfitta dal progresso delle pratiche mediche: verso la fine del‘700, infatti, Edward Jenner scoprì che iniettando nell’uomo il vaiolo della vacca (vaccino), questo acquisiva l’immunità alla malattia. La riduzione della mortalità non va ridotta alla lotta contro il vaiolo e alla scomparsa della peste: la maggiore igiene, dovuto alla frequente pulizia col sapone, all’uso di diversi indumenti intimi in cotone, ad un diverso tipo di abitazione con stanze separate e alla raccolta delle immondizie, ha portato alla riduzione della possibilità di contrarre malattie..A ridurre la mortalità contribuisce anche la minore frequenza delle carestie.
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